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Welcome to our collection of research publications where we explore the fascinating world of Unidentified Aerial Phenomena (UAP) and potential Non-Human Intelligence (NHI). Our publications cover a wide range of topics and aim to contribute to the interdisciplinary study of UAP and NHI.
Quando un ex agente operativo della CIA rompe il silenzio su uno dei misteri più elusivi del nostro tempo, vale la pena ascoltarlo con attenzione. Nell’intervista concessa al canale Sol Forum, Jim Semivan, con 34 anni di carriera all’interno dei servizi segreti statunitensi, offre un raro sguardo dall’interno su quanto gli apparati di intelligence sanno — e soprattutto decidono di non dire — riguardo agli UAP (Unidentified Anomalous Phenomena).
Semivan non è un teorico, né un sensazionalista. È un uomo che ha vissuto nell’ombra, ha servito per decenni come agente clandestino, e che oggi, in un contesto di progressiva “disclosure” pubblica, sceglie di raccontare una parte della verità, consapevole dei limiti imposti dalla sicurezza nazionale e dagli accordi di riservatezza.
Un incontro personale con l’inspiegabile
L’origine del suo coinvolgimento diretto con gli UAP non è teorica, ma personale: Semivan racconta di aver vissuto un’esperienza anomala insieme alla moglie, nel cuore della notte, nella loro casa. Una presenza si è manifestata nella loro stanza: sagome indistinte, forme umanoidi senza volto, accompagnate da una percezione alterata dello spazio e del tempo. Nessun rumore, nessuna comunicazione verbale, ma una sensazione tangibile di interazione con qualcosa di "altro". Entrambi rimasero svegli, consapevoli, senza riuscire a reagire. L’evento non fu accompagnato da panico, ma da uno strano senso di distorsione percettiva e profonda inquietudine.
Da quel momento, la sua attenzione sul fenomeno cambia. Non più solo oggetto di dossier e briefing interni, ma una questione esistenziale, profonda, non riducibile alla tecnologia militare. E qui inizia la sua lenta ma determinata transizione verso una forma pubblica di testimonianza.
Il mistero più difficile: non sapere cosa non sappiamo
Per Semivan, la questione UAP non è tanto tecnologica quanto epistemologica: non sappiamo che cosa siano, né cosa vogliano, e questo è il vero problema. Si tratta di entità intelligenti, non necessariamente extraterrestri, che operano ai margini del nostro campo percettivo e cognitivo.
“Non possiamo nemmeno cominciare a formulare le domande giuste. È un problema malvagio, non perché sia malevolo, ma perché è intrinsecamente inafferrabile.”
Nessuna delle ipotesi classiche — ET, spionaggio straniero, fenomeni naturali mal interpretati — riesce a contenere il quadro completo.
In un passaggio particolarmente intenso, Semivan dichiara: “Questo è un problema filosofico, non tecnologico.”
Una frase che racchiude l’essenza del suo pensiero: non stiamo cercando un nuovo tipo di velivolo, ma una nuova comprensione della realtà.
80 anni di silenzio organizzato. L’ex agente della CIA conferma che gli sforzi per tenere il pubblico all’oscuro vanno avanti da oltre 80 anni. La compartimentazione, la burocrazia, la paura del panico sociale e la gestione del vantaggio tecnologico hanno costruito una macchina del silenzio ben oliata, in cui anche chi sa può dire solo poco — o nulla.
Semivan descrive un sistema fatto di livelli: militari, scientifici, industriali, intelligence. Nessuno ha la visione completa. E nessuno può permettersi di alzare il velo senza rompere equilibri consolidati. Questo spiega perché ogni tanto esce una voce, un leak, una dichiarazione allusiva — e poi il nulla.
Non umano, ma non per forza alieno
Un punto fondamentale dell’intervista riguarda la natura dell’intelligenza dietro gli UAP. Semivan non si sbilancia in termini assoluti, ma è netto nel dire che non si tratta di tecnologia convenzionale.
“Parliamo di qualcosa che è reale, che è qui, e che interagisce con noi. Ma non è come noi.”
Potrebbe trattarsi, suggerisce, di entità interdimensionali, di una forma di coscienza avanzata, o di qualcosa che esiste indipendentemente dalla nostra struttura spazio-temporale. Ipotesi che potrebbero sembrare esoteriche, ma che oggi vengono prese in considerazione anche in ambito militare.
Trasformazione e trauma: quando l’UAP ti tocca
Semivan sottolinea un punto raramente discusso nei media mainstream: le persone che entrano in contatto con il fenomeno UAP spesso non ne escono indenni.
“Quando questo fenomeno ti tocca, ti cambia. Riprogramma il tuo modo di pensare. È qualcosa di spirituale. È qualcosa di emotivo.”
Chi vive esperienze dirette — soprattutto non cercate — attraversa trasformazioni profonde: cambiamenti nella percezione, nel modo di pensare, nel rapporto con la realtà. Per alcuni, è un risveglio. Per altri, è un trauma.
“La gente pensa che sia affascinante avere un incontro. Non lo è. Può rovinarti la vita. Non puoi smettere di vederlo, una volta che l’hai visto.”
Molti testimoni, spiega Semivan, vivono con una ferita invisibile. Non cercano attenzione, ma spesso vengono ridicolizzati o isolati. Il fenomeno non dona risposte: dona domande troppo grandi da portare da soli.
Il vero motivo del silenzio
La ragione per cui tutto questo resta sotto il tappeto non è solo paura o incompetenza. È che nessuno sa cosa fare con questa verità.
• Come comunicare al pubblico qualcosa che nemmeno gli esperti comprendono?
• Come gestire l’impatto psicologico, religioso, geopolitico di una simile ammissione?
• Come affrontare il fatto che il potere politico non ha il controllo della situazione?
Semivan allude alla possibilità che alcuni elementi dell’intelligence e della difesa siano a conoscenza di “recuperi”, ma che non ci sia una comprensione completa della loro origine o funzionamento. Anche per questo, secondo lui, il segreto è destinato a restare — finché non sarà costretto a cadere.
Conclusione: il vero nemico è l’arroganza epistemica
L’intervento di Jim Semivan non porta rivelazioni eclatanti o documenti esplosivi. Ma ci offre qualcosa di altrettanto prezioso: una mappa del silenzio, tracciata da chi ha vissuto nel cuore dell’informazione protetta.
Il suo messaggio è chiaro: il problema non è solo “cosa sono gli UAP”, ma chi siamo noi davanti a qualcosa che sfida la nostra struttura mentale e culturale.
E, soprattutto, quanto tempo ancora potremo ignorarlo.
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Oltre l’orizzonte: il riflesso oscuro della conoscenza
Ci sono fenomeni che sfidano la scienza. Altri che scuotono la fede. Ma ce ne sono alcuni, più rari, che mettono in crisi l’atto stesso di conoscere.
Il racconto di Jim Semivan non ci parla solo di oggetti volanti non identificati, ma di un’incursione dell’ignoto nella coscienza umana. Una realtà che non si limita a eludere i radar, ma che aggira i confini del linguaggio, del pensiero logico, della percezione condivisa.
Non siamo semplicemente di fronte a una tecnologia avanzata. Siamo forse di fronte a qualcosa che agisce nei pressi del simbolico, del metafisico, del mitologico.
Semivan lo dice chiaramente: il problema non è tecnologico, ma filosofico.
E ciò che inquieta non è l’idea che loro siano qui, ma il sospetto che non siamo noi a comprendere dove ci troviamo.
La filosofia occidentale ha passato secoli a cercare verità universali. Il fenomeno UAP, così come descritto da chi lo ha vissuto, sembra suggerire il contrario: che l’universo non si lascia cartografare facilmente, e che l’intelligenza non è un’esclusiva dell’uomo, né della materia.
La vera sfida, dunque, non è più “cosa sono gli UAP”, ma “che cosa ci stanno mostrando di noi stessi?”.
Che cos’è la realtà, se può essere deformata da una presenza che non si mostra mai del tutto? Che cos’è la coscienza, se può essere riscritta da un incontro notturno?
E ancora: se esiste qualcosa che osserva — e influenza — la nostra esistenza da una distanza invisibile, abbiamo davvero il controllo della nostra storia?
Jim Semivan non offre risposte. Ma nella sua incertezza, ci ricorda una verità dimenticata:
non c’è nulla di più destabilizzante dell’ignoto che ti guarda indietro.
Claudia Carletti.
Nell’episodio 65 di Need to Know, Ross Coulthart e Bryce Zabel, ormai voci cardine nel panorama delle investigazioni sugli UAP, affrontano un tema scottante e sempre più centrale nella discussione pubblica: di chi è la tecnologia che sta violando lo spazio aereo americano ed europeo? E perché le autorità sembrano incapaci — o riluttanti — a reagire?
Questa puntata prende le mosse da un punto fermo e documentato: l’ammissione, da parte del generale Glenn VanHerck (ex comandante NORAD e Northcom), che “ci sono droni non identificati che operano impunemente sopra gli Stati Uniti, senza propulsione convenzionale”.
Una dichiarazione dirompente. Ma il vero terremoto arriva con ciò che essa implica.
Tecnologia senza propulsione visibile
Secondo Coulthart, questa non è solo una novità sconcertante: è la conferma pubblica che qualcuno sta utilizzando velivoli avanzati, non alimentati da eliche, jet o turbine, per penetrare indisturbato lo spazio aereo statunitense — compreso quello sopra installazioni militari sensibili.
Nel video, si fa riferimento a numerosi episodi di incursione, spesso registrati da più testimoni o persino da sensori militari, ma mai spiegati in maniera soddisfacente. L’aspetto più inquietante? Molti di questi droni mostrano caratteristiche stealth, sono invisibili ai radar convenzionali, e operano al di sopra di basi contenenti armi nucleari.
La Cina come possibile responsabile
Secondo le ipotesi più condivise tra analisti e insider, queste incursioni non sono solo esperimenti americani. Coulthart è chiaro nel suggerire che la Cina potrebbe essere il principale artefice di queste dimostrazioni tecnologiche — un modo per “bussare alla porta” dell’America e mostrarle quanto è vulnerabile.
L’obiettivo? “Un grande messaggio del tipo: guardate cosa siamo in grado di fare sopra le vostre basi nucleari”, commenta Coulthart. Non un attacco, ma una dimostrazione strategica.
Lockheed Martin: ombre su un gigante della difesa
Ma non è tutto. Il giornalista australiano afferma anche qualcosa di ben più audace: “Sono ora in grado di affermare con certezza che il famoso oggetto Tic-Tac è tecnologia di Lockheed Martin”.
Se confermata, questa affermazione aprirebbe una serie di interrogativi cruciali:
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Perché il Congresso non era stato informato di questa tecnologia?
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Perché la Difesa non sembra avere accesso a questi velivoli?
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È possibile che un’azienda privata stia gestendo — in autonomia — tecnologie avanzatissime potenzialmente sviluppate con fondi pubblici?
Il sospetto è che esistano piattaforme segrete sviluppate internamente da Lockheed e non condivise con il Pentagono — e forse nemmeno con i comitati di sorveglianza del Congresso.
Una crisi sistemica di controllo e trasparenza
Zabel osserva che tutto ciò avviene in un contesto di logoramento dell’autorità pubblica: le risposte ufficiali latitano, le informazioni sono compartimentate, e i cittadini (ma anche molti parlamentari) vengono tenuti all’oscuro.
Il Dipartimento della Difesa ha parlato di “droni di ricerca autorizzati dalla FAA” — ma Coulthart liquida questa spiegazione come “una bugia totale”. Non solo: la ritiene una copertura per mascherare l’incompetenza delle strutture di comando, che non sono state in grado di identificare e neutralizzare minacce sconosciute nello spazio aereo nazionale.
“È come un nuovo 11 settembre, ma questa volta scritto in codice tecnologico,” afferma Coulthart. “Un’altra situazione in cui siamo stati colti nel sonno.”
Il Congresso cerca la verità (ma trova ostacoli)
Una possibile risposta arriva sotto forma di proposta legislativa: attribuire all’FBI la responsabilità principale nelle indagini sugli UAP, esautorando parzialmente l’AARO (All-domain Anomaly Resolution Office), considerata da molti inefficace o compromessa.
Il fatto che 444 avvistamenti su 757 non siano stati spiegati nel rapporto annuale del Dipartimento della Difesa rafforza questa direzione. Il Congresso comincia a sospettare di essere stato deliberatamente escluso da programmi segreti di recupero e retroingegneria di velivoli non convenzionali.
La grande domanda: sono tutti “umani”?
Zabel solleva la questione più profonda: e se tutti avessero ragione? Se ci trovassimo davanti una combinazione di:
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tecnologie segrete statunitensi,
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capacità avanzate di potenze straniere,
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e forse anche presenze non umane?
Coulthart non si sbilancia, ma suggerisce che l’ipotesi NHI (Non-Human Intelligence) non può più essere esclusa a priori. I dati, raccolti da decenni, superano i limiti della scienza terrestre conosciuta fino ad oggi. Ma prima ancora di porsi domande cosmiche, è urgente fare chiarezza su quanto già avviene davanti ai nostri occhi.
Conclusione: il grande blackout informativo
“Siamo in una fase in cui l’establishment della sicurezza teme di ammettere la propria vulnerabilità,” afferma Coulthart. “E questo è più pericoloso della minaccia stessa.”
Zabel chiude con una riflessione amara ma necessaria: la trasparenza è l’unico modo per rafforzare la fiducia pubblica e affrontare una realtà che — da troppo tempo — ci è stata negata.
La nostra analisi: tra ciò che si dice e ciò che non si può dire
Discutere del Tic Tac e del suo possibile legame con Lockheed Martin significa muoversi su un crinale sottile, dove le parole sono spesso ombre di verità celate. È un territorio dominato da dichiarazioni condizionali, omissioni misurate e mezze conferme: un vocabolario del “non detto” che si manifesta quando chi parla — testimoni militari, insider dell’intelligence, giornalisti d’inchiesta — è vincolato da Accordi di Riservatezza (NDA) o da interessi istituzionali superiori.
Le testimonianze dirette non mancano, ma si contraddicono. David Fravor, pilota protagonista del celebre avvistamento del 2004, ha dichiarato sotto giuramento di non credere che si trattasse di tecnologia umana. Eppure, nel circuito mediatico parallelo, emergono voci secondo cui la CIA gli avrebbe detto il contrario, insinuando che l’oggetto Tic Tac fosse opera della Lockheed Martin. Nessuna di queste versioni è confermata, ma entrambe persistono nello spazio pubblico come verità possibili.
Ciò che colpisce è che nessuno — né il Congresso, né il Pentagono, né i contractor — nega con chiarezza. Nessuno smentisce, ma nessuno conferma. In questo silenzio strategico, l’ipotesi che il Tic Tac sia una piattaforma stealth iperavanzata, sviluppata e gestita privatamente, non è né smentita né dimostrata.
In assenza di prove definitive, la questione si sposta allora dal "che cosa è" al "chi ce l’ha", e perché non lo sappiamo. Se Lockheed Martin dispone davvero di tecnologie che superano ciò che è attualmente accessibile al Dipartimento della Difesa, ci troveremmo di fronte a una compartimentazione tecnologica estrema, in cui il controllo delle capacità militari è frammentato e disallineato. Se invece l’origine è non umana — o una combinazione ibrida — il silenzio potrebbe essere l’unico modo per evitare una crisi di percezione e potere.
In ogni scenario, il nodo centrale non è la presenza degli UAP, ma l’assoluta mancanza di trasparenza, e il fatto che il pubblico, come il Congresso, venga sistematicamente lasciato fuori dai livelli reali di conoscenza. Ed è proprio per questo che le domande devono continuare, anche senza risposte immediate: perché, alla fine, la vera minaccia non è ciò che vola, ma ciò che viene nascosto.
Oltre l’orizzonte - Una riflessione speculativa su ciò che potremmo non essere pronti a comprendere
C’è un punto in cui l’analisi razionale, per quanto rigorosa, deve ammettere i suoi limiti. È quel confine in cui le prove non arrivano, ma l’intuizione resta. È lì che comincia il territorio dell’“oltre l’orizzonte”: una zona grigia fatta di domande che inquietano perché non trovano risposta nei modelli noti.
Se davvero il Tic Tac non appartiene né alla tecnologia statunitense né a quella straniera, allora ciò che resta potrebbe non essere terrestre — ma neppure necessariamente “aliena” nel senso hollywoodiano del termine.
E se ci trovassimo di fronte a una forma di intelligenza non lineare, non localizzata, non biologica? Qualcosa che interagisce con la realtà attraverso modalità che oggi non sappiamo nemmeno misurare?
In fondo, perfino il fisico Eric Davis ha scritto rapporti per il Pentagono sul concetto di veicoli che si auto-materializzano nella nostra dimensione, e Lue Elizondo ha alluso a intelligenze interdimensionali o “non ostili ma non comprese”.
In questo scenario, la domanda non è più “chi guida questi oggetti”, ma che rapporto hanno con il tempo, lo spazio e la coscienza. Il Tic Tac, allora, non sarebbe una navicella, ma un’interfaccia: qualcosa che si manifesta, si lascia osservare e poi si ritira, forse per testare la nostra reazione, forse per modificare lentamente la nostra percezione del reale.
Anche l’ipotesi del reverse engineering assume contorni nuovi: e se ciò che è stato recuperato non fosse solo tecnologia, ma anche informazione compressa, codici di accesso a logiche fisiche diverse, o persino artefatti coscienziali?
Queste domande non sono evasive. Sono, al contrario, l’unico modo di rispettare la complessità del fenomeno, senza ridurlo a guerra fredda 2.0 o brevetti aerospaziali. Non escludono Lockheed Martin, né le strategie cinesi. Ma ricordano che ciò che non capiamo non è necessariamente ciò che non esiste.
E allora, da questo orizzonte ci rivolgiamo alla vera posta in gioco: non scoprire “chi sono loro”, ma comprendere chi siamo noi, di fronte a qualcosa che ci supera e ci specchia.
An international consortium of scientists breaks the academic silence and proposes a rigorous method for studying unidentified aerial and undersea phenomena
In January 2025, a group of over thirty experts—including physicists, anthropologists, astrophysicists, engineers, philosophers of science, and retired military personnel—published a document that marks a turning point in the study of so-called UAPs (Unidentified Anomalous Phenomena), formerly known as UFOs. The title speaks for itself: “The New Science of Unidentified Aerospace-Undersea Phenomena.”
The result of a multidisciplinary and transnational effort, the 100+ page paper seeks to overcome decades of stigma and denial surrounding these phenomena by outlining a new scientific approach—open yet rigorous—for studying events that challenge our current understanding of technology, physics, and perception.
A global issue—not just an American one
One of the first myths the paper dispels is that the UAP phenomenon is exclusively American. The authors—including physicist Kevin Knuth, historian Richard Dolan, anthropologist Peter Skafish, Italian researcher Massimo Teodorani, and astrophysicist Jacques Vallée—trace nearly a century of official documentation and testimony, from the Scandinavian “Ghost Flyers” of the 1930s to the World War II Foo Fighters, all the way to modern sightings monitored by scientific initiatives such as Hessdalen (Norway), VASCO (Sweden), the Galileo Project (Harvard), and UAPx (USA).
Five observables and one open question
UAPs are defined as phenomena that do not fit neatly into known or prosaic categories. Some exhibit extraordinary characteristics, known as the Five Observables, originally identified by the Pentagon's AATIP program:
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Sustained flight without aerodynamic surfaces
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Instant acceleration
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Hypersonic speeds without sonic booms
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Transmedium travel (air–water–space)
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Radar invisibility or active camouflage
To these, the paper adds a sixth, more unsettling but well-documented trait: anomalous biological interactions with humans and animals.
A science of the invisible: between astrophysics and anthropology
The authors acknowledge that some phenomena can certainly be explained—misinterpretations, rare atmospheric events, advanced human technology. However, a significant percentage—estimated between 4% and 40% of analyzed cases—remains unexplained, even after rigorous investigation.
This is why the paper calls for a reformulation of the scientific method to address rare and unpredictable phenomena, taking inspiration from fields like astrophysics and geology: building distributed observatories, deploying multispectral sensors, synchronizing instruments, and comparing qualitative and quantitative data.
Furthermore, the contribution of the social and human sciences is emphasized, particularly in understanding the experiential dimension of witnesses. Anthropologist Peter Skafish—drawing from the intellectual framework of the SOL Foundation—highlights the importance of not reducing the UAP experience to mere technical data but exploring its ontological, cognitive, and cultural implications as well.
Beyond stigma: building a science of the limits
The intent of the document is clear: to recognize that we are facing a real phenomenon—unexplained and worthy of study. It critiques the scientific inertia in the face of events that challenge current physical theories (e.g., objects traveling at Mach 40 without leaving a trail or making sound) and the institutional lack of transparency, particularly in the United States, where much data remains classified.
The paper does not speculate on extraterrestrial origins but excludes no possibility—so long as it is supported by data. More importantly, it urges us to rethink the very concept of the “unknown” as a multidimensional phenomenon that touches on technology, nature, consciousness, and possibly even our perception of reality itself.
Conclusion: toward a new epistemology of mystery
The New Science of UAP is a bold and deeply necessary document. It does not claim to offer definitive answers but rather opens the door to a new way of engaging with the unknown—one that moves beyond sterile skepticism and naïve belief.
The message is clear: we don’t need to “believe” or “disbelieve.” We need to study, listen, and observe. What we need is a broader and humbler science.
As the authors write:
“There remains a residue of phenomena that continue to defy every rational explanation. And within that residue may lie a new understanding of reality.”